The story of these black-and-white photographs is carefully bound in a single manila folder that landed on my desk at the NGV on a Tuesday afternoon. The pages are yellow with age, written in the jittery cadence of an unaligned typewriter, the odd letter jumping out of formation to rest just slightly higher or lower than its bedfellows.
The hand that typed these pages is the same one I imagine resting on a camera in St Peter’s Square, patiently waiting to press the shutter and immortalise these anonymous men and women in their quiet acts of devotion, their stolen moments of repose and daily errands performed beneath the architectural splendour and religious pageantry of the Vatican City.
As a first-generation Italian-Australian, I was drawn to these photographs because their subjects reminded me of my grandparents. In particular, my grandmother, a woman who looked remarkably like the nonna captured in Resting, number two, 1972, a newspaper draped across her lap, her head resting gently on her chest. This is the Italy of my ancestors and of the many Italians who left their homeland in the 1950s, 60s and 70s to make a life for themselves on the other side of the world. No matter the decades that passed, my grandparents would remember Italy like this, not as a place that embraced tourism and globalism, McDonald’s and baggy jeans, the music of Madonna and the delights of sushi trains and English slang. To my grandparents, Italy remained as if preserved in a snow globe, exactly as they had left it – a place where widows wore black and young women matched sensible shoes with knee-length skirts; where men wore hats with perfectly ironed slacks and spotless blazers every day. A place populated by i fedeli (the devout) – the very people so perfectly captured by Melbourne graphic designer turned professional photographer Leslie Robert Gray in 1972.
The photographs featured on these pages are a snapshot of a 1972 series called Assignment, Rome. They are available to view on the NGV Collection online, which is where I discovered them. Everything I know about Leslie Gray, better known as Les, comes from that one manila folder stored carefully in the NGV’s records department for more than five decades. From its typewritten pages, I learn that Gray was commissioned by the Gallery to travel to the Vatican City. His photographs, thirty in total, were part of an NGV exhibition called Sistine Chapel: A Photographic Exploration, held in 1973 to coincide with the Eucharistic Congress in Melbourne.
Gray taught himself photography as an extension of his graphic design training. The NGV commission comes just five years after he turns pro. Born in Melbourne in 1920, Gray is fifty-two when he travels to Rome. He’s the chairman of the NGV’s photography subcommittee and an ‘occasional lecturer at the Prahran College of Technology’. His photographs have been published in a handful of books, some of which he has designed, and he describes his fields of specialisation as ‘architectural, art and portraiture’.
In the folder, each photograph in the Assignment, Rome series has its own hand-typed record with title (Three Nuns, Looking Up, Carozza 1), date (November 1972) and process (Dektol 1:2). Typos are crossed out in a series of dark XXXXs in the typewriting equivalent of a backspace. Amendments are added in light blue pen. And at the very back of the folder, I find a short note from the inaugural NGV curator of photography Jennie Boddington, dated 1973. In it, Boddington describes Gray’s work as a ‘deeply personal response to human beings within the scene’, praising his juxtaposition of hands and faces with the stone of the colonnades and steps. Gray’s emphasis of scale, she writes, ‘arouses a vivid appreciation in the beholder’. In 2024, I am struck by her very last sentence. A line that stays with me long after I have returned the folder to the NGV’s fastidious records coordinator, Arthur Sliwinski:
[Gray’s] photographs render the devout in a moving chiaroscuro, which confirms in human beings, the timeless, the momentary and universal.
It’s a fitting summation of my own perception of Gray. I never met the artist. He passed away in 2013. This story is gleaned from a handful of pages gathered in a neatly bound folder in the mid-1970s. It is, like the people captured in Assignment, Rome, like my grandparents’ memories of Italy, momentary. The world outside continued to turn and change and adapt and evolve, but these photographs, those memories and this manila folder did not. It’s a story that is, without a doubt, incomplete but feels timeless, nonetheless. A story that captivated me and I hope will captivate you, as the latest beholders of Gray’s Assignment, Rome.
Elisa Scarton, Senior Editorial Coordinator, National Gallery of Victoria
See all of Les Gray’s photographs from the Assignment, Rome collection at ngv.melbourne/explore/collection/artist/2333
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La storia di queste fotografie in bianco e nero è accuratamente rilegata in un’unico fascicolo che è arrivato sulla mia scrivania alla NGV un martedì pomeriggio qualsiasi. Le pagine sono ingiallite dall’età, scritte con la cadenza nervosa di una macchina da scrivere sgangherata, con le lettere che schizzano fuori dalla normale sequenza e si posizionano appena più in alto o più in basso rispetto alle loro compagne.
La mano che ha scritto queste pagine è la stessa che immagino appoggiata su una macchina fotografica in Piazza San Pietro, in paziente attesa di premere l’otturatore e immortalare queste persone sconosciute durante i loro silenziosi atti di devozione, nei momenti di riposo rubati e mentre svolgono le loro commissioni quotidiane sotto lo splendore architettonico e lo sfarzo religioso di Città del Vaticano.
Come italo-australiana di prima generazione, sono subito stata attratta da queste fotografie perché i loro soggetti mi ricordavano i miei nonni. In particolare, mia nonna, una donna che assomigliava in modo impressionante all’anziana signora immortalata in Resting, number two, 1972, con un giornale sulle ginocchia e la testa dolcemente appoggiata sul petto. Questa è l’Italia dei miei antenati e dei tanti italiani che negli anni ’50, ’60 e ’70 hanno lasciato la loro patria per crearsi una nuova vita dall’altra parte del mondo. Indipendentemente dai decenni trascorsi, i miei nonni ricordavano l’Italia così, non come un luogo che abbracciava il turismo e il globalismo, McDonald’s e i jeans larghi, la musica di Madonna e le delizie dei sushi e dello slang inglese. Per i miei nonni, l’Italia rimase come conservata in una palla di vetro con la neve, esattamente come l’avevano lasciata: un luogo in cui le vedove vestivano di nero e le giovani donne abbinavano scarpe adeguate a gonne al ginocchio; dove gli uomini portavano ogni giorno il cappello con pantaloni perfettamente stirati e giacche immacolate. Un luogo popolato da fedeli, le stesse persone così perfettamente immortalate dal grafico di Melbourne divenuto fotografo professionista Leslie Robert Gray nel 1972.
Gray imparò a fotografare autonomamente ampliando e traendo spunto dalla sua formazione in graphic design. La commissione della NGV arrivò solo cinque anni dopo il suo passaggio alla fotografia come professionista. Nato a Melbourne nel 1920, Gray aveva cinquantadue anni quando si recò a Roma. All’epoca il fotografo era presidente del sottocomitato fotografico della NGV ed era inoltre “docente occasionale presso il Prahran College of Technology”. Le sue fotografie sono state pubblicate in una manciata di libri, alcuni dei quali ideati da lui stesso, e nei quali descrive i suoi campi di specializzazione come “architettura, arte e ritrattistica”.
All’interno del fascicolo, ogni fotografia della serie Assignment, Rome ha una propria annotazione dattiloscritta a mano che riporta anche un titolo (Three Nuns, Looking Up, Carozza 1 – Tre suore, sguardo all’insù, Carrozza 1), la data (novembre 1972) e il procedimento utilizzato (Dektol 1:2). I refusi vengono cancellati con una serie di XXXX scure, l’equivalente dattilografico di una moderna cancellazione tramite tastiera. Le modifiche sono aggiunte con una penna a inchiostro blu chiaro. In fondo al fascicolo, trovo una breve nota di Jennie Boddington, curatrice inaugurale della NGV per la fotografia, datata 1973. In questa nota, Boddington descrive l’opera di Gray come una “risposta profondamente personale agli esseri umani all’interno della scena”, lodando la sua giustapposizione di mani e volti con la pietra dei colonnati e dei gradini. L’enfasi di Gray sulla dimensione, scrive l’autrice, “suscita un vivido apprezzamento nell’osservatore”. Nel 2024, mi colpisce la sua ultima frase, la quale mi è rimasta impressa anche molto tempo dopo aver restituito il fascicolo all’esigente coordinatore dei registri della NGV, Arthur Sliwinski:
Le fotografie (di Gray) rendono il devoto in un chiaroscuro commovente, che conferma negli esseri umani i concetti di atemporalità, di momentaneità e di universalità.
Si tratta di una sintesi appropriata della mia percezione di Gray. Non ho mai conosciuto l’artista, che è scomparso nel 2013. Questa storia è tratta da una manciata di pagine raccolte in un fascicolo ordinatamente rilegato a metà degli anni Settanta. Come le persone immortalate in Assignment, Rome e come i ricordi dell’Italia dei miei nonni, si tratta di una storia che racconta di un momento nel tempo. Il mondo esterno ha continuato a girare, a cambiare, ad adattarsi e ad evolversi, ma queste fotografie, quei ricordi e questo fascicolo invece no. È una storia senza dubbio incompleta, ma comunque senza tempo. Una storia che mi ha affascinato e spero affascinerà anche voi, che siete gli ultimi spettatori di Assignment, Rome di Gray.
Elisa Scarton è coordinatrice editoriale senior presso la NGV.
Guarda tutte le fotografie di Les Gray facenti parte della collezione Assignment, Rome, 1972, all’indirizzo ngv.melbourne/explore/collection/artist/2333
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Les GRAY
Resting, number two (1972)
from the Assignment, Rome series (1972)
gelatin silver photograph
50.9 x 33.4 cm (image)
National Gallery of Victoria, Melbourne
Purchased with the assistance of the Visual Arts Board and the KODAK (Australasia) Pty Ltd Fund, 1973
PH13.11-1973
© The artist