In the mid nineteenth century, in his Galleries and Cabinets of Art in Great Britain (1857), the great German chronicler of art in English collections, Gustav Waagen, noted of this painting (which was then owned by Lord Folkestone of Longford Castle, Wiltshire, and given to the hand of Ludovico Carracci): ‘LA Charity. Fine in feeling, well composed, and carefully executed’. Daniela Kelescian, in the catalogue accompanying the 1999 exhibition Alessandro Turchi detto l’Orbetto, 1578–1649, confirmed the attribution of this beautiful canvas to Turchi. The Charity is one of three allegories by this artist that represent the theological virtues and that were created c. 1620 as companion paintings of the same size (the Hope is at the Detroit Institute of Arts, the Faith in a private collection). All three compositions are identified as painted by Turchi, and described in detail, in Sileno, overo delle bellezze del luogo Sig. Co. Gio. Giacomo Giusti, Francesco Pona’s 1620 account of the Giusti collection in Verona. The three paintings were still together in 1749, in a collection at Foot’s Cray Place, Kent, after which they were dispersed among separate owners.
A Verona-born artist who may have undertaken early training in Venice, Turchi appears to have been working in Rome by 1615, counting among his patrons the influential Cardinal Scipione Borghese. At this time the radical influence of Caravaggio’s revolutionary approach to religious art was still being strongly felt among Italian artists. Ripples from Caravaggio’s shocking new realism can be discerned in the National Gallery of Victoria’s painting, both in Turchi’s confinement of the dramatically lit figures to a dark, shallow stage, and in his choice of a handsome but perfectly everyday woman as his model for Charity.
Turchi’s representation of Charity – like his Faith and Hope – closely follows Cesare Ripa’s widely known book of emblems, the lconologia (1604). According to Ripa, Charity (Carita) should be depicted clothed in a red dress; there should be flames surrounding her head; and an infant should be suckling at her breast as two other children play at her feet (one of these older children should be clutching Charity’s hand). In this painting, Turchi shrinks Ripa’s ‘flaming head’ to a single scintillating jewel upon Charity’s brow, and transforms the attendant children into the single figure of a torch-bearing amoretto, who is armed with a quiver of arrows.
Ted Gott, Senior Curator, International Art, National Gallery of Victoria
A metà Ottocento, nel suo Galleries and Cabinets of Art in Great Britain (Gallerie e gabinetti d’arte in Gran Bretagna) (1857), il grande cronista tedesco dell’arte di collezioni inglesi, Gustav Waagen, annotò di questo dipinto (che allora era di proprietà di Lord Folkestone di Longford Castle, nel Wiltshire, e affidato alla mano di Ludovico Carracci): “LA Carità. Fine nel sentimento, ben composto e accuratamente eseguito”. Daniela Kelescian, nel catalogo che accompagnava la mostra del 1999 “Alessandro Turchi detto l’Orbetto, 1578-1649”, ha confermato l’attribuzione di questa incantevole tela al Turchi. La Carità è una delle tre allegorie di questo artista che rappresentano le virtù teologali e che sono state realizzate all’incirca nel 1620 come dipinti complementari delle stesse dimensioni (la Speranza si trova al Detroit Institute of Arts, la Fede in una collezione privata). Tutte e tre le composizioni sono identificate come dipinte da Turchi, e descritte in dettaglio, in “Sileno, overo delle bellezze del luogo Sig. Co. Gio. Giacomo Giusti”, resoconto di Francesco Pona del 1620 sulla collezione Giusti a Verona. I tre dipinti si trovavano ancora insieme nel 1749, in una collezione a Foot’s Cray Place, nel Kent, dopodiché si dispersero tra diversi proprietari.
Artista veronese che potrebbe aver intrapreso una prima formazione a Venezia, Turchi sembra lavorare a Roma dal 1615, annoverando tra i suoi mecenati l’influente cardinale Scipione Borghese. In questo periodo l’influenza radicale dell’approccio rivoluzionario caravaggesco all’arte religiosa era ancora molto sentita dagli artisti italiani. Nel dipinto conservato alla National Gallery of Victoria si possono scorgere le tracce del nuovo e sconvolgente realismo caravaggesco, sia nella scelta di Turchi di confinare le figure drammaticamente illuminate in un palcoscenico buio e poco profondo, sia nella scelta di una donna bella ma perfettamente normale come modello per la Carità.
La rappresentazione della Carità di Turchi, come quella della Fede e della Speranza, segue da vicino il noto libro di emblemi di Cesare Ripa “Iconologia” (1604). Secondo Ripa, la Carità dovrebbe essere rappresentata vestita con un abito rosso; ci dovrebbero essere fiamme che circondano la sua testa; e un bambino dovrebbe allattare al suo seno mentre altri due bambini giocano ai suoi piedi (uno di questi bambini più grandi dovrebbe stringere la mano della Carità). In questo dipinto, Turchi riduce la “testa fiammeggiante” di Ripa a un unico gioiello scintillante sulla fronte della Carità, e trasforma i bambini presenti nell’unica figura di un amoretto munito di torcia e armato di una faretra di frecce.
Ted Gott, Curatore Senior, Arte internazionale, National Gallery of Victoria
Alessandro TURCHI
Charity (1615-1620)
oil on canvas
206.0 x 101.6 cm
National Gallery of Victoria, Melbourne
Felton Bequest, 1954
3077-4